Incontro cardinal Scola a Oggiono

 

… sono qui, sono tornato, 
chiamate tutti gli altri, suonate la campana, 
oggi riapre la scuola di un povero curato, 
un certo Don Milani mandato qui a Barbiana.
Anche se col tempo voi siete un po' cambiati
ed i miei occhi non son più quelli di allora

e se i vostri ginocchi non sono più sbucciati, 
stonati canteremo quella canzone  ancora... 
I care, I care, 
c'è bisogno che io abbia cura di te, 
you care, you care, 
c'è bisogno che tu abbia cura di me, 
I care, I care
è solo un modo per dire che d' amore ce n'è 
un bisogno più forte, il più forte che c'è, 
I care, I care, I care.

Così inizia la canzone di don Lorenzo Milani “I Care, mi importa”.

Al Cardinale Angelo Scola “importa” offrire un faccia a faccia sul tema “Una Chiesa in uscita, unire la vita alla fede”, nell’ultimo degli incontri del ciclo “Adamo dove sei” nella Comunità Pastorale San Giovanni Battista ad Oggiono, Annone, Ello e Imberido dove ora risiede l’ex Arcivescovo di Milano, ritornato vicino alla sua Malgrate ove nacque il 7 novembre 1941.

L’introduzione del Cardinale parte da Venezia: “Sette o otto anni fa, prima di essere nominato Cardinale, quando ero a Venezia, andai a New York, il Direttore del  Wall Street  Journal mi ha invitò a passare in redazione un mattino per stare con loro. La sede era proprio in faccia alle torri gemelle, ormai rase al suolo, lui ha introdotto il dialogo dicendo:  «Vede Eminenza,  è vero che noi abbiamo tanti mezzi,  però la nostra scelta, quando qualcuno che ci interessa passa da New York, è quella di invitarlo di persona per dialogare perché il faccia a faccia è insostituibile».  

Secondo me questa  è una intuizione geniale!

Grazie a Dio noi abbiamo l’Eucarestia il faccia a faccia più autentico.

L’espressione «Chiesa in uscita» più volte utilizzata da Papa Francesco nell’Evangelii  Gaudium ha preso un peso molto rilevante sia nelle comunità cristiane sia nelle diverse realtà civili. Il Santo Padre parlando alle persone dello Myanmar, questo paese così complesso, pieno di contraddizioni e delicato, ha detto ai vescovi  «Ai nostri giorni siamo chiamati ad essere una Chiesa in uscita per portare la luce di Cristo ad ogni periferia» e aggiungeva «In quanto vescovi,  le vostre vite e il vostro ministero sono chiamati a conformarsi a questo spirito di coinvolgimento missionario». Tuttavia come avviene spesso per le intuizioni più indovinate e più diffuse c’è sempre il rischio che lentamente si riducano a slogan perdendo la forza di generare cambiamenti. Ho perciò voluto aggiungere come sottotitolo di questa conversazione  «Unire la vita con la fede»  per spiegare questa importante affermazione del Papa ed aiutare a superare la frattura tra la fede e la vita”.
Il Cardinal Scola concentra il suo intervento sul soggetto cristiano personale e comunitario in cinque tappe.

Prima tappa - Illustrare di cosa si tratta quando si parla di Chiesa in uscita

“In sintesi, per dire il significato di Chiesa in uscita, cito un passaggio di Evangelii Gaudium al n. 25 «Ora non ci serve più una semplice amministrazione dell’esistenza, non basta il …si è sempre fatto così, costituiamoci pertanto in tutte le regioni della terra in uno stato di permanente missione», questa forma era già contenuta nel celebre documento finale della quinta conferenza del Consiglio Episcopale Latinoamericano dei Caraibi, il CELAM, di cui il Santo Padre allora Arcivescovo di Buenos Aires, era protagonista nel famoso documento di  Aparecida, grande santuario del Brasile.

L’espressione di Papa Francesco in questo attuale cambiamento d’epoca ha avuto una tale forza di provocazione da trovare straordinaria accoglienza tra cristiani e non cristiani.

«La Chiesa in uscita è la comunità dei discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva»

Due i contenuti decisivi di questa affermazione che sottolineo 

Il primo: la Chiesa in uscita è la comunità dei discepoli missionari, tutti i battezzati sono discepoli missionari. Essi sperimentando che il Signore li ha preceduti nell’amore prendono l’iniziativa di andare per amore all’incontro di tutti arrivando fino all’incrocio delle strade per invitare gli esclusi.

Il secondo che è implicato nella definizione di prima è ben espresso dal papa al n.266 dell’Evangeli i Gaudium, l’attitudine dei discepoli missionari si sostiene con l’esperienza personale. Non è la stessa cosa aver conosciuto Cristo o non averlo conosciuto  sappiamo bene che la vita con Gesù diventa molto piena e con lui diventa molto più facile trovare il senso di ogni cosa. Se uno non lo scopre presente nel cuore stesso dell’impresa missionaria che sia in Bangladesh, sia condividere la situazione di qualche profugo immigrato, che sia il bisogno della Caritas, che sia aiutare i ragazzi a fare il doposcuola, che sia creare un centro culturale dentro una realtà, se uno non scopre il rapporto con Cristo presente nel  cuore dell’impresa missionaria presto perde l’entusiasmo. La parola entusiasmo viene dal greco e significa Dio dentro. Un entusiasta ha Dio dentro di se. Se non hai Dio dentro smette di essere sicuro di ciò che comunica, gli manca la forza e la passione e una persona che non è convinta, entusiasta, sicura, innamorata, non convince nessuno. Potremmo sintetizzare il messaggio del Papa di cosa sia la Chiesa in uscita dicendo: “Sono io che devo uscire e io sono sempre in relazione fin dal concepimento dei miei genitori sono in relazione, inevitabilmente, inesorabilmente l’io-in-relazione.”

Seconda tappa - Indagare il posto del singolo della singola persona, del soggetto. Io sono il soggetto di ogni azione.

“Il discepolo missionario è simultaneamente un soggetto personale e comunitario."

Non dimentichiamo la persona, il soggetto, dicendo che la Chiesa in uscita non comincia dall’io-personale, indirettamente puntiamo il dito su una situazione critica in cui versano le comunità cristiane. E una posizione in cui anche noi spesso cadiamo nella vita quotidiana lasciando alle spalle la relazione consapevole con Gesù risorto vivo e contemporaneo alla nostra persona e alla nostra realtà. Perdiamo così la Genesi profonda, cioè l’entusiasmo della vita profonda. Da qui ha origine quella frattura tra la fede e la vita in cui anche molte nostre comunità soffrono come una malattia.

Come cristiani dobbiamo fare dei passi, la proposta di una Chiesa in uscita non è un affare esclusivo dei cristiani ma ha qualcosa da dire a tutte le donne e a tutti gli uomini delle altre religioni e anche a chi si dice ateo.

Conoscere o non conoscere Cristo non è la stessa cosa però il fatto che tutti hanno bisogno di un senso, costituisce terreno comune su cui noi possiamo incontrare ogni nostro fratello; la ricerca del senso ci mette dentro la famiglia umana indipendentemente dal contenuto.

Ogni uomo affronta il quotidiano mosso dalle dimensioni costitutive della sua persona, gli affetti, il lavoro, il riposo queste tre dimensioni definiscono l’azione di ognuno di noi. Elementi a cui poi è connessa la dolorosa contraddizione dell’ingiustizia, del dolore, della morte. Da questo punto di vista combatto da anni una battaglia sulla cosidetta mistica dei lontani. Nessun uomo è lontano!”

Terza tappa - Osservazione del soggetto comunitario

“Senza comunità il soggetto non fiorisce."

In 27 anni di episcopato ho citato spesso questa esperienza di quando in un assemblea con un centinaio di studenti universitari del Politecnico di Milano ad un certo punto un ragazzo ha iniziato il suo intervento così … COLUI CHE E’ IN MEZZO A NOI … si è creato silenzio assoluto come se tutti avessero percepito la grande dimenticanza in cui stavamo tutti. 

La comunità non è esito della nostra azione, del volerci bene, del nostro fare, ma è il gesto dell’Eucarestia dentro l’esistenza della nostra vita.

Mi colpisce sempre vedere,  quando il tempio non è pieno,  come la gente si dispone, dieci davanti, quindici a meta,  tre sul fondo a destra, un pò a sinistra, in fondo  un pò di posti vuoti…

Il celebrante non ha la percezione di una realtà unita e compatta ma piuttosto dispersa, ecco questa immagine  esprime efficacemente la modalità in cui spesso le nostre comunità vivono perché dice quanto io resto estraneo al fratello che è li con me a partecipare all’opera più importante della vita che è l’Eucarestia, quanto poco io sia scelto ed amato, quanta poca coscienza abbia di essere scelto ed amato dal Padre in Gesù Cristo ed accolgo così il dono della comunione che il suo Spirito ci fa. 

Un libro divertente che descrive bene questa situazione che viviamo anche qui è “Il signor Parroco ha dato di matto” dell’autore francese Jean Mercier.

Le nostre comunità si riducono ad una somma di gruppi che producono dei servizi  anche molto validi, che fanno iniziative lodevoli  ed eccellenti ma a compartimenti stagni. Spesso anche cadendo in incomprensibili ed amari conflitti. 

Queste liti tra di noi sono veramente insopportabili. La comunione a cui tutti noi teniamo, nella migliore delle ipotesi viene confusa con un atteggiamento umano di buona educazione, di gentilezza, qualcosa di religiosamente corretto,  come se fosse frutto della nostra iniziativa e non un iniziativa che viene dall’alto con la A maiuscola.

Ma se la comunità non ci fa respirare col respiro di Gesù che ci introduce al respiro della Trinità non riesce più ad andare incontro all’altro anche fra le mille iniziative, non riesce più a dire «Vieni e vedi » del  Vangelo di  Giovanni che è la buona novella della testimonianza cristiana, non qualcosa di noioso e di pesante.

La generosità, che dipende dal temperamento, anche per chi ce l’ha rischia di non durare a lungo, a meno che non concepisca l’azione ecclesiale come una affermazione di sé, che non è proprio la cosa giusta. 

Jean Vanier  il fondatore della Comunità dell’Arca che conta 135 comunità diffuse in 33 paesi del mondo che accolgono i più scartati segnati di grandissimi handicap o colpiti da gravissime forme di malattia psichica scommette sulla forza risanatrice dell’amore e scrive: «Facciamo tutti fatica a vivere il presente a gioire della presenza di Dio qui e ora, ma l’incarnazione è proprio la rivelazione che Dio è nascosto nel reale nella materia stessa del mondo che non è fuori dalla nostra portata, che non abbiamo più bisogno gli antichi di cercarlo altrove lontano nel cielo, fra le stelle, nel futuro, ma che è qui vicino a noi perfino dentro le nostre ferite. Dio è presente l’Eterno presente» 

Lo scrittore geniale Oscar Wild molto provato da una vita molto disordinata, anche imprigionato per pederastia, prima di morire dice: « Da dove potrà entrare in me Gesù se non dal mio cuore ferito?»”

Quarta tappa - Come l’essere cristiani in uscita traspaia nel loro agire, l’agire è ciò che unisce la persona singola e comunitaria, il soggetto alla realtà, la fede alla vita e la vita alla fede.

“La verifica nell’azione è il modo in cui agisco."

Chiediamoci il modo in cui viviamo nei confronti di chiunque, soprattutto verso i poveri. La ricca proposta di servizi e di iniziative soprattutto a favore degli ultimi nei vari ambiti dell’umana esistenza ha trovato a partire dal richiamo di Papa Francesco un ulteriore incremento così come è nata una attenzione ad aspetti della convivenza civile in una società plurale come la nostra fosse prima un pò trascurata.

Ad esempio la necessità di ripensare all’impegno politico, ad utilizzare i new media per comunicare la gioia del Vangelo, ho in mente l’impegno di ogni singola famiglia come chiesa domestica ad affrontare con fede e insieme padre madre e figli situazione e problematiche anche dolorose della vita in famiglia, non solo fare i gruppi familiare pure importanti. Penso alla maturazione avvenuta, come ho già visto a Venezia ma poi anche a Milano, del rapporto tra le aggregazioni di fedeli di antica data e di nuova costituzione, penso al loro nesso con le parrocchie e con le diocesi. 

Rimane aperta una questione decisiva, per spiegarla  prendo una citazione del Santo Padre: «Se uno non scopre presente Gesù nel cuore stesso dell’impresa missionaria perde l’entusiasmo e una persona che non è entusiasta non convince nessuno». Questo l’invito ad un ulteriore salto di qualità, la conversione.

Inevitabile il richiamo del Santo Padre di essere Chiesa in uscita suoni un pò come un giudizio su una situazione di autoreferenzialità e di chiusura in cui spesso le nostre comunità vivono dando l’immagine di cittadelle molto attive ma un pò lontane dalla realtà, come se tutta la vita si dovesse svolgere sotto il campanile e alla fine per incontrare Cristo, ammesso che ci si riesca, uno deve arrivare li.

Queste osservazioni dove ci stanno portando? Dobbiamo allora rinunciare a tutte queste iniziative? A tutti i nostri servizi? Non sono proprio questi i mezzi imprescindibili necessari per condividere il bisogno? Dobbiamo limitarci ai sacramenti e alla catechesi?  E’ questo che il Cardinale ci vuol dire?

Evidentemente no!

Non mi stanco di ripetere che tutta la vita è vocazione e che la realtà in tutte le circostanze è il luogo nel quale Dio viene al nostro incontro invitandoci a vivere la nostra esistenza come una risposta alla Sua chiamata.

Devono vedersi nella vita di comunità questi  tre aspetti della citazione di Paolo: «Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio»”

Quinta tappa - Perché o per chi la persona e la comunità cristiana operano.

Nel passaggio dall’Eucarestia e dalla Parola di Dio all’azione quotidiana lasciamo spesso alle spalle Gesù Cristo e i suoi misteri come via alla realizzazione compiuta del soggetto cristiano aperto a tutto e a tutti, come se nel quotidiano Gesù e i suoi misteri sfumassero come la fase finale dei bellissimi tramonti che si vedono da Imberido. Sette, otto, nove tonalità di colori bellissimi, poi sfumano, forse per questo che i lacustri sono sempre un pò malinconici come i grigi colori dominanti del lago. 

Come se la sordità e il duro  della ripetizione della vita feriale non trovasse mai uno sbocco nella vicinanza tenera del Signore a tutti noi. Come se Cristo e i suoi misteri sfumassero fino a sparire.

La nostra azione deve trasmette il perché o il per chi noi amiamo, lavoriamo, affrontiamo il dolore, l’iniquità, la malattia, la morte.

Una bellissima affermazione di Santa Teresa di Calcutta che chiarisce bene questo concetto è nella risposta alla domanda un giornalista americano:  «…ma mi dica lei Madre come le sue sorelle giovani e belle si chinino su moribondi pieni di piaghe verminose? Come fanno? Dove trovano la forza?»
Lei rispose: «Esse amano Gesù e trasformano in azione vivente questo amore»”

Il titolo del circolo di incontri fa riferimento ad un versetto della Genesi «Adamo dove sei» con potente forza espressiva questo versetto ci rappresenta Dio nel giardino che va alla ricerca dell’uomo Adamo insieme ad Eva che schiacciati dal peccato di origine si erano nascosti pieni di timore circa la loro sorte futura che sarebbe stata attraversata da dolori, prove e peccato. 

È la storia dell’umanità ma anche la nostra storia personale.

A ciascuno di noi, alle nostre comunità, oggi come in ogni tempo, Dio pone la domanda «Uomo dove sei?»

Daniela Invernizzi

Martino Benedetto