Messa dello sportivo

I gruppi sportivi della Comunità Pastorale Martino e Benedetto (GS Brongio, Polisportiva San Giorgio, San Giorgio Volley, HC Molteno e GSO Sirone) hanno partecipato alla Santa Messa dello Sportivo. Una serata di preghiera guidata da don Francesco nella Chiesa Parrocchiale a Molteno. Diversamente dagli scorsi anni (la celebrazione avveniva in corrispondenza del Santo Natale) la scelta della data ha avuto un sapore tutto particolare: è stata collocata nella settimana dell'educazione.

Questa sera, durante l'omelia, don Francesco ci ha aiutato a coglierne tutto il valore. In riferimento al brano di Vangelo proposto è stato evidenziato come lo Sport in Oratorio non deve essere vissuto senza valori autentici. Gesù si è trovato a disagio nella sua città. Così non deve essere per noi che ci ritroviamo in Oratorio come nella nostra casa. Ci sono contesti dove non é possibile compiere alcun prodigio. Gesù, a Nazareth, ha trovato un luogo ostile, che ha soffocato la sua persona e l'ha sminuita. Lo Sport, come Nazareth, non deve essere un ambiente che sminuisce. Lo Sport deve, al contrario, tirare fuori il meglio. E proprio la figura di Don Bosco continua ad insegnarci ad avere uno sguardo di amorevolezza, di fiducia. É bene far sentire importante ogni persona e valorizzare in ciascuno la parte migliore di sé sia a livello umano sia a livello spirituale. Anche lo Sport può farci essere più cristiani e soprattutto uomini e donne capaci di promuovere le qualità di tutti. 

A conclusione della celebrazione è stata distribuita a tutti i presenti la preghiera dello sportivo: come dice il testo, Gesù é davvero accanto a noi. Sia questo l'augurio a vivere lo Sport in Oratorio non come Nazareth! 

Marco Rigamonti

Preghiera dello sportivo

Signore!
E’ bello per me
correre con i miei amici,
nella gioia e nella fatica,
nella vittoria e nella sconfitta.

Là, sul campo,
ci metto tutto me stesso
perché per me
giocare è un po’ come vivere
e vivere è un po’ come giocare.

E se penso alla mia vita
come a quel campo di gara
allora, Signore,
aiutami a viverla
con lo stesso entusiasmo
con lo stesso impegno
con la stessa voglia di vincere
e di diventare grande.

Sii tu la mia guida
e il mio maestro.

Insegnami a giocare la mia partita,
indicami il mio ruolo in campo,
incoraggiami a lottare
e a dare sempre il meglio di me stesso.

E quando sarò tentato di arrendermi
e di non combattere più,
ti prego abbandona la panchina
ed entra in campo con me!
Con te vicino ricomincio a giocare.

Amen.

Omelia di don Francesco

Il brano di Vangelo che abbiamo ascoltato ci presenta Gesù che opera nella città dove è cresciuto con la sua

famiglia: Nazareth.

Vorrei intitolare la riflessione di questa sera proprio così: “Lo sport in oratorio: non come Nazareth”.

Perché non come Nazareth? Perché Nazareth non ha permesso a Gesù di poter essere se stesso e di tirar fuori il meglio di se. Il Vangelo ci fa vedere infatti come Gesù, arrivando presso la città di Nazareth, si trova profondamente a disagio e non riesce ad essere se stesso, ad esprimere al meglio la grandezza della sua persona. Forse Nazareth voleva un Gesù “a suo modo” e, siccome non era così, allora lo ostacola e lo rifiuta.

Questo Vangelo ci fa capire come ci possono essere dei contesti e degli ambienti in cui una persona, pur mettendocela tutta, non riesce a dare il meglio di sé stessa, ad esprimere al meglio la sua persona e le sue capacità: Gesù, in quella città, non poteva compiere nessun prodigio. Gesù, lo sappiamo benissimo, era l'uomo che girava per le città compiendo miracoli, guarendo malati, attirando a se folle numerose e conquistando le persone con parole ripiene di amore e di calore. Gesù era capace di tutto questo, ma lì non ci riusciva, Nazareth non gli permetteva di essere così! Quando arriva nella città di Nazareth Gesù si sente giudicato, misurato e sminuito: “Non è il figlio del falegname?”, come a dire: “Che cosa mai di buono potrà uscire da questa persona, visto che è solo un falegname?”. Nazareth quindi non si fida di Lui, non crede in Lui: “Gesù si meravigliava per la loro incredulità”, dice il Vangelo. Nazareth, per Gesù, non è stato un ambiente bello, che l’ha fatto sentire a suo agio e che quindi l’ha promosso; al contrario, è stato un ambiente ostile e che ha soffocato la sua persona. Da questo brano di vangelo e ricaviamo un importante insegnamento per lo sport: lo sport non deve essere come la città di Nazareth, non deve essere un ambiente ostile, in cui chi lo frequenta, come gli atleti ma anche gli allenatori e gli stessi genitori, non riesce ad essere se stesso ad esprimere al meglio la bellezza della sua persona.

Al contrario, lo sport deve essere come una sorta “pompa”, cioè deve essere quell’ambiente e quel contesto capace di succhiar fuori da ogni persona non il peggio, ma il meglio di se, quel “meglio” che c’è in ognuno di noi. Don Bosco era convinto di questo: era convinto che in ognuno c’è un “meglio” che deve essere cercato ed estratto; per questo guardava tutti i suoi ragazzi, buoni o cattivi, bravi o non bravi, capaci o non capaci, con un unico sguardo: uno sguardo di amorevolezza. Ed è questo il vero segreto: avere uno sguardo di amorevolezza e di fiducia, cosa che Nazareth non ha saputo avere nei confronti di Gesù. Sì, l’amorevolezza, perché l’amorevolezza promuove ed è lei quella “pompa” che sa estrarre e far fuoriuscire il meglio di ogni persona; è lei quell’elemento che ci fa vedere gli atleti e tutti i collaboratori con non come delle pedine che dobbiamo mettere in campo per vincere, ma come delle persone da far sentire importanti per quello che sono. Questa penso sia la vera vittoria: la gioia di tutti e la gioia c’è quando uno si sente valorizzato e amato per quello che è. Il Vangelo ci insegna che lo sport deve essere quel luogo in cui la persona riesca e sia invogliata a tirare fuori il meglio di sé. Ma a che livello uno da il meglio di se? Non solo a livello fisico uno da il meglio di sè, ma anche a livello umano e, perché no, siamo in oratorio, anche spirituale. Non riduciamo lo sport a semplice tecnica o prestazione; la persona non è fatta solo di muscoli, di tecnica e di agilità e il campo non è solo quello di calcio, pallamano o pallavolo. Il campo più grande è quello della vita e lo sport in oratorio deve preparare anche a giocare la partita della vita, a dare il meglio di sé nella vita. Per questo lo sport deve guardare alla persona nella sua totalità, dalla tecnica, al cuore e allo spirito. Io ricordo sempre un mio compagno di seminario che, raccontando la sua vocazione, diceva: “Io sono entrato in Seminario grazie al mio allenatore di calcio”. Impegniamoci allora a vivere lo sport in oratorio non come la città di Nazareth. Lasciamo invece che lo sport in oratorio sia quell’ambiente capace di promuovere le capacità di tutti e di guardare a tutta la persona; lasciamo che sia quel luogo in cui tutte le persone siano valorizzate e non scartate, siano accolte non respinte, siano promosse non osteggiate e che tutti i ragazzi possano trovare degli educatori e delle persone che credano in loro, che sappiano dire ad ogni atleta: io credo in te.

Affidiamo a Maria Ausiliatricele nostre società sportive, mettiamole nelle sue mani.

Ci aiuti Maria Ausiliatrice a dar vita e a mantenere delle squadre e degli ambienti non come Nazareth, ma ambienti in cui ogni persona si senta chiamata e portata ad esprimere il meglio di sé stessa da ogni punto di vista.

Martino Benedetto