Sempre lieti nel Signore

Il titolo della serata “Sempre lieti nel Signore” presentata alla Comunità dei Santi Martino e Benedetto da parte di Frate Francesco Ielpo, Commissario di Terra Santa della Lombardia, è l’iniziativa di Avvento proposta dal nostro Parroco Don Massimo Santambrogio, a sostegno dei cristiani in Terra Santa e Medio Oriente.
Il titolo nasce quando, sull’aereo di ritorno da un viaggio in Libano dopo aver visitato alcuni profughi sia cristiani che iracheni, Frate Francesco è colpito dalla luce sul volto di Josef, uomo che aveva perso tutto in un giorno e in una notte, eppure trasmetteva tanta letizia, frutto della fede.

Frate Ielpo ci racconta realtà poco conosciute dalla maggior parte di noi.
La Custodia di Terra Santa, quel luogo che San Francesco D’Assisi ha voluto fosse presenziata dai frati francescani, è terra tanto amata e desiderata e tutti noi e siamo tenuti a custodirla e amarla.
Terra Santa è origine della nostra fede, della nostra storia religiosa e della nostra esperienza cristiana. Essa non è limitata ai territori di Israele o a quelli di Palestina ma riguarda anche Giordania, Libano, Siria, Cipro e Rodi.

All’inizio del conflitto in Siria, il 18 maggio 2011, erano nove i francescani missionari, oggi ce ne sono quattordici e fra due mesi altri due francescani partiranno in missione per la Siria.
In Siria la prima carità che genera speranza è la presenza del pastore, del buon pastore! Questo è un fatto molto importante, dove il pastore resta il popolo resta.

Nessuno può vivere senza una speranza per la quale alzarsi il mattino, per cui valga la pena restare li anziché fuggire; uno rimane se trova una ragione forte, se vede che non è abbandonato. La presenza dei francescani in quella terra vuole proprio testimoniare che la Chiesa non sta abbandonando i cristiani. Questo è fondamentale!

In Libano ci sono presenze sia a Beirut che ad Arissa. Conta 4.200.000 abitanti di cui quasi 2.000.000 di profughi; in paragone è come se in Italia ci fossero 30.000.000 di profughi. E’ un paese in cui c’e la presenza forte delle Nazioni Unite.
I cristiani, quando è possibile, preferiscono andare nei villaggi, anche piccoli, ma dove ci sono altri cristiani anche se mancano sacerdoti e pastori. Questo è commovente!

Parlando di Medio Oriente si deve parlare di un dramma che si sta consumando in questi anni nella Valle di Ninive di cui non avevamo mai sentito parlare se non qualche anno fa. L’avvento dell’ISIS ha costretto i Nazareni, termine arabo per indicare i cristiani, ad abbandonare in poche ore casa, lavoro, affetti. Si parla di quasi 6.000.000 di profughi fra Iraq e Siria. L’emergenza è quella di restare accanto alle famiglie che stanno vivendo con grande fede questa prova. Famiglie come quella di Josef, gente che lavorava da generazione a generazione, finchè è arrivata anche lì la crisi causata dalla Cina. Hanno dovuto lasciare tutto e sono in attesa da un anno e mezzo, attraverso una procedura legale formale delle Nazioni Unite di avere forse fra un anno, due anni, tre anni… non si sa, un visto regolare per immigrare in un paese regolarmente, dove poter riprendere a vivere.
I bambini sono traumatizzati dalla guerra, avrebbero bisogno di insegnanti di sostegno nelle scuole, ma in Libano le scuole pubbliche non hanno la capacità di accogliere questo numero immane di profughi, loro riescono ad accogliere 350.000 bambini ma altri 150.000 rimangono senza scuola. Lo status di profugo implica anche questo, vivere senza scuola, senza attività.

La grande fede degli anziani che porta a chiedersi: “Ma perché?”. E La risposta che arriva a una tale domanda è: “Stai calma, non dire nulla! E’ evidente che l’uomo non vorrebbe mai le prove nella propria vita, forse Dio sta chiedendo qualcosa vivendo la prova come una chiamata di Dio”.

Ma è possibile stare di fronte a tutto questo? La risposta è si, nella misura della fede.
Si continua ad affidarsi incessantemente a Dio, ogni giorno, con la preghiera, spesso guardando il cielo stellato, certi che Dio non abbandona mai.

Ci spostiamo con la testimonianza di Fra Ielpo ad Aleppo. La presenza dei francescani che continuano nonostante Aleppo sia una città divisa in due; una parte sotto il potere degli jihadisti, i ribelli, l’altra parte i cristiani, sotto il regime di Assad che da sempre ha protetto e rispettato tutte le minoranze.
I cristiani, non soltanto i cattolici ma anche gli armeni e gli ortodossi, ad oggi sono nella parte sud della citta, sotto il regime di Assad. La chiesa di San Francesco ad Aleppo è miracolosamente sempre stata protetta e salvaguardata perché in quella zona continuano a bombardare. Il 25 ottobre scorso durante la Santa Messa delle ore 17.00 una bomba è arrivata sulla cupola della chiesa, gli jihadisti hanno atteso la domenica sera quando la chiesa era piena di fedeli cristiani, alle 17.45 quando tutti erano in fila per la comunione nella navata centrale viene scagliata la bomba. Un ordigno costruito con una bombola di gas e altri esplosivi. I fedeli hanno sentito un forte boato e la cosa sorprendente e miracolosa è che la cupola ha retto, non è esplosa ma la bomba è rotolata giù sulla navata laterale e lì è esplosa portando giù calcinacci e tegole. Nessun morto, sei feriti non gravi.

Il parroco, Padre Ibrahim, racconta che iniziata le comunioni la chiesa trema, il boato, lo scoppio, i calcinacci che cadono giù, i feriti che si rifugiano sotto le panche, il parroco appoggia la pisside con il Santissimo, presta soccorso, si accerta che non ci sono morti e che non ci sono feriti gravi, viene pulito il sangue per terra e poi la grande domanda: “E adesso cosa faccio?”. Nessuno è scappato, tutti i cristiani sono usciti nel cortile del convento, il sacerdote ha preso la pisside e hanno terminato la Comunione; non si era accorto che delle gocce di sangue erano finite nella pisside. Queste le parole di Padre Ibrahim: “Lì ho capito in maniera chiara che il sangue dei cristiani era il sangue che continuava a perpetuarsi nel tempo nella persona di Cristo, del sacrificio dell’Eucarestia, il sacrificio dei cristiani”.
Hanno terminato la Messa con la benedizione e il canto alla Vergine Maria perché tutti hanno riconosciuto la Sua protezione. Per continuare una Messa così, questi cristiani hanno ben chiara quale è la loro speranza che riesce a fare attraversare anche una valle come questa. Non c’è altro, non c’è nessun altra strategia, solo: “Il Signore è il mio sostegno”.

Un’altra storia è quella di Padre Hanna nel villaggio francescano di Knayeh in Siria con duecento cristiani, presenza storica in questo luogo, la chiesa e il convento finché sono arrivati gli jihadisti. Per rimanere bisogna pagare la tassa della Jihad oppure ci si converte all’Islam. Si può restare ma non ci possono essere assolutamente simboli cristiani, sono state divelte tutte le croci: dalle chiese, dal convento e perfino dal cimitero. Gli jihadisti fanno di tutto per costringere a fuggire, lanciano bombe e seminano terrore. Frate Hanna era stato rapito perché in predica aveva detto che non bisognava pagare la tassa, in realtà non era stato un vero e proprio rapimento ma era stato imprigionato perché a Knayeh si applica la Legge islamica, fu rilasciato su pagamento.

Ci spostiamo a Betlemme in un contesto completamente diverso, nello stato di Israele, siamo nei territori palestinesi occupati. Betlemme separata da un muro. La città ha avuto una grande metamorfosi negli ultimi 70 anni. Se noi fossimo andati nel 1900 avremmo trovato una cittadina dove l’80% della popolazione era cristiana, oggi i cristiani sono circa il 10%, molti sono migrati. Questo cambio di percentuale è dovuto alla guerra fra Israele e Palestina nel ‘48/’49, a Betlemme si sono concentrati tre campi profughi palestinesi quindi musulmani. C’è una metamorfosi in questa città, cosa che non è avvenuta invece al campo dei pastori, 8.000 abitanti Betsaul, di cui 90% cristiani. Aggrava la situazione dei cristiani a Betlemme il problema del loro sostentamento. Hanno sempre vissuto del loro artigianato, di agricoltura, della grossa affluenza di pellegrini, ora è tutto bloccato; il lavoro è saltuario, il turismo religioso e i pellegrinaggi vanno diminuendo. Da gennaio 2015 a settembre 2015 c’è stato un calo del 40% dei pellegrini.

A Betlemme la presenza dei francescani si occupa di tre realtà: emergenza, educazione, soccorso.
A Betlemme non esiste assistenza sanitaria e nemmeno pensione sociale. Se non si hanno figli che si occupano degli anziani questi ultimi sono abbandonati a se stessi.
La fornitura di cisterne cioè dell’acqua è fondamentale. Sopra tutti i tetti ci sono delle cisterne perché l’acqua non sempre c’è. In Palestina i palestinesi hanno solo la proprietà del suolo su cui vivono ma non del sottosuolo, quindi tutte le forniture di acqua che passano nel sottosuolo sono di Israele. I palestinesi non hanno neanche la proprietà dell’aria sopra di loro, quindi del cielo e ogni passaggio di veicolo in aria non dipende dalla Palestina.
I bambini possono andare a scuola ma se si ammalano bisogna pagare tutto. Se un bimbo deve essere operato l’unica possibilità è presso l’Ospedale delle Suore Italiane ma lì non tutti gli interventi possono essere effettuati e un bambino palestinese che non ha passaporto, non può andare in nessuna altra parte del mondo per essere operato. Servono trattative diplomatiche infinite per poterli aiutare. Ci sono volontari, suore e tutta l’organizzazione non governativa che provvede con questo metodo, sempre collaborando coi cristiani e musulmani. La pace si costruisce così, fare insieme, far vedere che pur nelle diversità di identità, di cultura e di religione non siamo dei nemici ma siano dei fratelli.

Negli uffici della Custodia si stanno facendo dei progetti per la Samaria. In Samaria non ci sono cristiani eppure si stanno facendo progetti di sviluppo per quel territorio coi ragazzi palestinesi e musulmani per insegnare loro un lavoro, un certo tipo di accoglienza per il turismo, restaurano chiese antiche cristiane, si accorgono che prima dell’Islam c’era la presenza cristiana, diventano orgogliosi della loro storia e della loro tradizione. Tutto questo oltre a migliorare la qualità di vita genera speranza; vale la pena rimanere lì, non è necessario fuggire altrove.

In tema educativo Terra Santa School aiuta con progetti e attività pomeridiane i bambini che a casa non possono essere assistiti nello studio, l’accoglienza dei più bisognosi, il pagamento delle rette. Non esiste una scuola pubblica, In Israele e Palestina ci sono 100 scuole cattoliche, nella Custodia solo 14. La chiesa è molto attiva dal punto di vista educativo perché si costruisce il futuro con queste esperienze dove i bambini cristiani vanno a scuola coi bambini musulmani. Si fanno i presepi, ci sono appesi i crocifissi, i bambini musulmani si documentano imparando a conoscere e rispettare una cultura e una religione diversa, così i bambini cristiani fanno la stessa cosa durante la festa del sacrificio. Questa non è garanzia assoluta che il bambino musulmano fra venti anni non tiri una pietra ad un bambino cristiano o viceversa ma sicuramente è una possibilità verso l’educazione.

Ad Haifa ci sono zone dove non c’è conflitto, dove la convivenza è possibile. Questi sono segni di speranza e la speranza a pensarci bene in questo periodo in cui ci stiamo preparando al Natale, non è l’arrivo di un rivoluzionario, di un imperatore potente, di un regno o un impero più grande dell’impero romano che soggiogava i popoli. La speranza è partire da un segno umilissimo: un bambino in una mangiatoia.
La vita va avanti in una chiesa viva, orgogliosa di essere lì e orgogliosa di essere cristiana.

Noi spesso non siamo più orgogliosi di essere cristiani, contenti e felici. In Terra Santa e Medio Oriente vanno fieri di questo e non negano a nessuno la propria identità.

Ci sono poi i bambini disabili, seguiti dalle suore del Verbo Incarnato sotto la Basilica della Natività.

E’ attivo un programma di educazione per le donne musulmane e cristiane perché nel mondo arabo mediorientale il tema della non pari dignità con l’uomo è fortemente sentito. Per queste donne gli obbiettivi sono di rafforzare il ruolo delle madri all’interno delle famiglie (la madre è decisiva), ma anche educare le donne a piccoli lavori e progetti da svolgere in casa, ad esempio dei catering dove esse valorizzano il loro lavoro facendo poi gustare ai pellegrini i loro piatti tipici.

Se il cristianesimo dovesse finire in Medio Oriente sarebbe una perdita per tutti, anche per gli stessi musulmani. Non avrebbero più dei paragoni, qualcuno che testimonia la bellezza di chi dona la vita gratuitamente come Cristo in croce, che attrae, segno alto di un amore che si dona fino alla fine. E questo sta colpendo molti musulmani portandoli spesso alla conversione al cristianesimo, non perché si va da porta a porta col convincimento ma perché si sta lì con la faccia come quella di Josef, lieta!

Quando apri il pozzo di Aleppo e tutti possono attingere acqua, sia quelli che hanno il velo sia quelli che non lo hanno, questo colpisce. Non sanno spiegarsi il perché. Ma il perché noi lo sappiano. Sappiamo che l’origine è Cristo.

Serve pregare per avere la forza e la grazia per stare davanti a tutto questo, perché il Signore non ci ha promesso che non ci sarebbero state delle prove ma ci ha promesso che ci sarà una possibilità sempre in ogni circostanza chiedendo il dono della fede.
Fa riflettere la domanda posta al vescovo di Mosul: “Ma voi non avete paura di morire?”
Mi colpì la risposta. “Per avere paura di morire bisogna sapere come si fa a vivere!” , che detto in un altro modo... per chi vale la pena vivere!

I cristiani in Medio Oriente ci stanno testimoniando che “Nulla potrà separarci dall’Amore di Cristo!”

Daniela Invernizzi

 

PS: Altre foto sono visibili su CasateOnline

Martino Benedetto