La Parola ogni giorno: 3 Maggio

IV Domenica di Pasqua

✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,11-18)

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai farisei: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Commento

Per dirci chi è Lui per noi e chi siamo noi per lui, Gesù usa diverse immagini. In questo brano di vangelo parla di sé come del buon pastore. E come sempre non ne parla in astratto ma dicendo quello che fa stando sul campo dell’esistenza: dà la vita per le sue pecore, per noi. Questo dare la vita certo, ci fa pensare alla Pasqua appena alle nostre spalle, alla morte di croce. Ma tutta la vita di Gesù è stata all’insegna del dare la vita, cioè del far vivere, del dare speranza, del dare cura, del dare guarigione, del togliere pesi e peccati, del rimettere in piedi esistenze precarie. Il “mestiere” di Dio, come ce lo ha fatto conoscere Gesù, è proprio quello di dare vita, come una madre che imbocca il suo bambino, come il terreno che è dissetato dalla pioggia, come la linfa che porta energia fino alle estremità dell’albero, come i medici, gli infermieri, i volontari che hanno dato la vita (molti anche fisicamente) per curare e guarire coloro che sono stati colpiti da questa feroce epidemia.

Gesù non si è mai tirato indietro, non è mai scappato. Eccolo il pastore buono che lotta contro il lupo, che si mette in mezzo a difesa delle sue pecore. Perché? Al mercenario non importa delle pecore, ma a Gesù sì. Come è bella questa espressione: gli importa delle pecore.

Ma allora capiamo quanto ci tiene a noi, quanto grande ai suoi occhi è il nostro valore, di noi che di per sé non meriteremmo nulla e invece in Lui abbiamo tutto, abbiamo vita.

Un altro elemento prezioso che ci offre questo vangelo è dato dalla conoscenza che c’è tra pastore e gregge. Conoscere per Gesù non è sapere qualcosa di generico, di sentito dire su di noi. Conoscere è parola che rimanda alla relazione stretta, allo stare insieme, alla condivisione di pensieri e paure, al potenziale di bene che c’è dentro di noi e alla grande fragilità che ci caratterizza. Gesù sa tutto di noi e noi pure sappiamo di Lui che non ci inganna, che dice le cose più belle e più vere su Dio perché è il Padre suo.

E poi lo sguardo sempre aperto, che non si chiude nel cerchio dei presenti: ho altre pecore che non provengono da questo recinto... Espressione che dice ricerca di chi non c’è ancora, di chi si è allontanato, di chi è dato per perso. “Venne a condividere la sorte di chi si era perduto” come dice una toccante espressione della preghiera eucaristica VI.

Sostando su verità così belle, nasce l’esigenza di guardare dentro la nostra vita aiutati da qualche domanda, perché il vangelo diventi parola che ci trasforma:

  • Cosa sto donando agli altri? Gli sto dando vita? Cioè, li aiuto con il mio modo di parlare, di giudicare, di essere presente, a vivere bene?

  • Mi importa degli altri, dei miei famigliari, dei miei amici, dei miei colleghi, dei miei compagni, o sono sempre preoccupato di mettere in salvo me stesso, di stare alla larga dai loro problemi, di non lasciarmi coinvolgere più di tanto nelle loro fatiche di vivere?

  • Come è la mia conoscenza degli altri? Sono superficiale nelle relazioni? Mi rifugio nei rapporti virtuali e fuggo quelli reali con gli altri?

  • So tenere il mio cuore aperto a tutti o procedo per esclusioni? Sto sempre con le stesse persone, gli stessi amici o so dare attenzione anche ad altri?

Questa domenica dell’anno è dedicata alla preghiera per le vocazioni. I Vescovi italiani l‘hanno intitolata così: “Datevi al meglio della vita”. Bellissima prospettiva che potremmo girare anche in questo modo: “Date al meglio la vita”.