Comunicare il Vangelo in un mondo social

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Incontro con Mons. Milani

Don Massimo ha avviato l’incontro serale presentando dapprima Mons. Milani, quale ex responsabile della comunicazione della Diocesi, e attualmente parroco e prevosto della città di Lecco, successivamente raccontando la storia “comunicativa” della nostra comunità pastorale. Inizialmente i nostri strumenti di comunicazione erano riconducibili al foglietto domenicale e subito dopo al giornalino trimestrale (Comunità viva). Dopo qualche tempo si è deciso di utilizzare un unico foglietto domenicale della comunità - il Martinetto - con la sola peculiarità specifica delle singole chiese per quanto riguarda la celebrazione liturgica settimanale.

Infine, obiettivo dello scorso Consiglio Pastorale, è stata la creazione degli ultimi due strumenti, nella fattispecie “strumenti digitali:” il sito web della comunità e la pagina Facebook della stessa comunità anche se più inerente al percorso oratoriano.

A questo punto ha preso parola il nostro relatore serale, Mons. Milani, dando le direttive per la serata: offrire una riflessione ad alta voce cercando di ragionare sulle possibilità di comunicazione all'interno di una comunità.

  1. Si è partiti con una considerazione ed analisi del rapporto tra comunicazione e la parrocchia.

    • Quest'ultima ha già un impegno pastorale, tanto che la comunicazione ha un ruolo piuttosto secondario, limitato, è riservata alla fine. La comunicazione viene intesa come compito ancillare, è un di più perché il reale obiettivo di una parrocchia è fare altro. E qui sta l’errore perché dobbiamo riavvolgere il nastro del nostro essere cristiani e toccare per mano il tema ontologico-esistenziale (Logos), in quanto il cristianesimo si basa sulla testimonianza di un vissuto e questo ci apre all'umanità e alla risposta a Dio. La comunione richiama la comunicazione. Il Vangelo è un atto di comunicazione e la buona novella (eu- anghelion) dà testimonianza e deve essere annunciata.

    • Questo significa che se comunichiamo male, va tutto male. Anche il nostro essere cristiano è fondamentale in quanto la comunicazione è un servizio, non è un soggetto indipendente. Con ciò si intende dire che ciascun fedele, a prescindere dal ruolo, compito e servizio, non può esimersi dall'essere comunicatore, dell'essere testimone.

  2. La comunicazione e i media.

    • Ci si chiede: bisogna usare tutti i mezzi? Sono solo mode? Il messaggio cristiano si trasmette con la persona? Il punto di partenza per comprenderci e comprendere quale strumento utilizzare è rispondere alle precedenti domande.

    • Non si evangelizza con i mezzi di comunicazione certamente perché l’evangelizzazione avviene solo in un contesto umano, in una circolarità relazionale; il cristianesimo è esperienza, tant'è che la conversione avviene su questo piano e non mediante gli strumenti, che sono solo dei mezzi. Dobbiamo stare attenti a non sostituire l'oggetto (il messaggio) con lo strumento. Essi sono solo dei veicoli, fanno informazione.

    • Certamente però non dobbiamo essere anacronistici: gli strumenti digitali sono utili soprattutto per fruirne, quindi la prima legge della comunicazione è capire a cosa serve un certo tipo di strumento perché non tutti hanno la stessa funzione, non tutti arrivano alle medesime persone, non tutti hanno lo stesso obiettivo.

    • Possiamo concludere questa parte affermando che in parrocchia ci devono essere i media. Dobbiamo utilizzare gli strumenti digitali perché si ha a cuore avere relazioni con le persone, anche quelle lontane, come dire... “ci siamo!”. Vogliamo raccontare mediante una foto, un articolo, uno slogan... Vogliamo coinvolgere! La difficoltà, allora, in questo senso è la scelta dello strumento, perché avere a cuore le esperienze che si fanno implica per il cristiano l’annuncio, il raccontare. Si torna così al concetto iniziale del messaggio cristiano: raccontare il logos e le sue gesta, le sue opere.

  3. La comunicazione e il progetto metodologico

    • E allora arriviamo alla costruzione del progetto della comunicazione domandandoci: chi parla? Come vivo il Vangelo e cosa voglio raccontare? Diventa basilare una forte conoscenza di sé perché ognuno ha la sua risposta, non c'è la risposta giusta. Lasciamoci guidare però da due domande, da due implicazioni:

      • chi sono? perché faccio comunicazione?

      • A chi mi voglio rivolgere? Devo capire ed esplicitare i destinatari della comunicazione, altrimenti non mi rivolgo a nessuno.

    • Ogni strumento ha un suo pubblico. Qui purtroppo dobbiamo citare il termine TARGET che significa “fare centro, scoccare una freccia”, intendendo l'altro come un bersaglio da colpire. Ma in ambito cristiano, in una parrocchia, è possibile utilizzare questo termine? La risposta non può che essere negativa, possiamo sostituire il termine TARGET con “pubblici”, cioè con la comunità intesa come pubblico eterogeneo (protagonisti e non). Sempre su questo tema ricordiamoci che ogni strumento comunicativo è valido, anche quelli che pensiamo essere obsoleti. Si diceva che la radio sarebbe scomparsa con l'avvento della televisione invece ecco che la radio continua a mietere ascolti.

  4. L'esperienza del reale

    • Un elemento fondamentale nella comunicazione è stare attenti a quello che si comunica, stare attenti a non ingannare nessuno soprattutto nella conversione. Facciamo un esempio per comprendere: su uno degli strumenti di comunicazione si scrive che durante una certa celebrazione c'è stata una partecipazione numerosa di persone quando nella realtà questo non corrisponde al vero. Bisogna stare attenti altrimenti si crea una sorta di notizia falsa, andando a ingannare.

    • Dobbiamo essere capaci di scegliere quale strumento utilizzare, per quale tipo di destinatario, come riportavamo sopra, con la certezza che non ci siano strumenti più pericolosi di altri, ci sono solo quelli più veloci di altri. Sta aumentando soprattutto negli adolescenti la consapevolezza di come utilizzare lo strumento ma non riuscendo a comprendere appieno valore di quello che si sta postando.

Ci apprestiamo a offrire le conclusioni di questa serata: la comunità cristiana e i media? Sì, la risposta deve essere affermativa perché nella comunità, nel mondo c'è l’uomo e perché ci sono persone a cui vogliamo bene; perché ci sono persone a cui voglio comunicare qualcosa.

Dalle domande emergono alcune fragilità che Mons. Milani affronta con estrema decisione e semplicità... evangelica.

  • Sul fatto che si sia sempre in pochi a essere coinvolti nella comunicazione Don Milani risponde che fare comunicazione è un servizio e il servizio è per pochi. Dobbiamo essere noi bravi ad andare a cercare, e sul web a creare la partecipazione e non semplicemente affidare un compito, affidare un pezzo da preparare.

  • Sullo strumento digitale Instagram ritorna il tema del “che cosa voglio dire” perché, mentre il sito web è necessario in una comunità pastorale, tutti gli altri strumenti sono un di più che non devono essere imposti ma dovrebbero nascere perché vedono, come detto poc'anzi, una spontanea partecipazione.

  • La dottrina sociale della Chiesa è da comunicare perché deve essere conosciuta e soprattutto perché non dicendo si rischia di far dire agli altri (quasi sempre in maniera non corretta) quello che la Chiesa in verità dovrebbe dire. È necessario impostare bene l'informazione utilizzandola nel migliore dei modi, sapendo veicolare bene la conoscenza della DSC.

  • Ricordiamoci ancora di non far trasformare la comunicazione in una tecnica.

Mons. Milani chiude la serata facendo i complimenti alla nostra comunità per il percorso svolto e per come ci stiamo muovendo nel presente, in conclusione ci dona un episodio avvenuto col card. Scola, talmente vicino e aderente alla realtà da far rabbrividire e citando il cardinale: “bisogna educare a far fatica a capire le cose, a ragionare”!

Martino Benedetto