Incontro in carcere

Martedì mattino, con alcuni preti del decanato, su invito del cappellano, sono stato nella casa circondariale di Lecco, non per visitare la struttura, ma per un incontro con una ventina dei circa settanta detenuti.

Non ho trovato “facce da galera”, ma volti normali di uomini perlopiù giovani.

Nel presentarsi in genere ognuno diceva il paese di provenienza (alcuni proprio dai comuni del decanato) e il tipo di reato commesso.

Non ci hanno chiesto cose o soldi, ma attenzione. Uno di loro l’ha espressa così: “Prendeteci per mano e aiutateci a fare un cammino”. 

Forse perché nel carcere ci si sente soli. E quando si è soli non si può fingere, si è costretti a prendere contatto con sé, con il male fatto ad altri e sicuramente anche a se stessi. E se non c’è la possibilità di riscattarsi ci si incattivisce.

Quando diventa prezioso allora puntare di più sull’aspetto redentivo della pena piuttosto che su quello punitivo. Non so cosa nascerà di concreto dopo questo incontro: almeno l’attenzione a giudicare meno e cercare di capire di più. È già qualcosa. 

Lascio le ultime righe a questa preghiera intitolata “Quelle sbarre”

Quante volte il sogno e la rabbia della libertà
si getta su quelle sbarre e ritorna indietro
con dispettosa amarezza.
O Dio, sì, sono colpevole!
Ma nessuno può togliermi la libertà
perchè è nata con me e non può morire
se non con la morte di me stesso.
Neppure tu, Onnipotente, puoi togliermi
questa sorgente di autonomia:
altrimenti cesserei di esistere.
Esiste una libertà difficile che si trova solo
guardando in faccia la verità: quella verità
che sfugge ogni giorno ma che il carcere ti costringe a guardare.
Qui occorre ricostruire tutto, occorre rimisurare i valori,
occorre reinventare la vita.
L'uomo qui è vero: non può fingere.
Mio Signore, quelle sbarre!
All'inizio ho lottato con violenza, urtando contro la verità.
Eppure quelle sbarre, togliendomi il mondo
e la tentazione, hanno permesso che io
e me stesso ci potessimo finalmente incontrare.
Per questo quelle sbarre... le amo.

(Un carcerato)

Don Massimo

Martino Benedetto